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La detenzione amministrativa degli stranieri è un istituto giovane nell'ordinamento giuridico italiano. Introdotto per la prima volta come misura eccezionale di natura temporanea nel 1995, è stato poi normalizzato a partire dal 1998. La disciplina normativa ha conosciuto da allora significative evoluzioni, così come le regole e gli standard per la creazione e la gestione dei centri per stranieri.
1995 |
Decreto Legge n. 489/1995 |
Il Decreto cosiddetto "Dini", che non fu mai convertito in legge, introduceva per la prima volta l'istituto della detenzione amministrativa, seppure senza mai nominare i "centri" per stranieri. Esso prevedeva infatti la possibilità di decretare a carico degli stranieri destinatari di un provvedimento di espulsione l'obbligo di dimora per una durata non superiore ai trenta giorni in "edifici" o "strutture" indicati dal Ministero del'Interno. |
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Decreto Legge n. 541/1995 convertito nella Legge n. 563/1995 |
La cosiddetta "Legge Puglia" creò il primo embrione degli attuali Centri di accoglienza, decretando l'apertura, per gli anni 1995, 1996, 1997, di strutture ricettive lungo la frontiera marittima pugliese per far fronte alle esigenze di prima accoglienza e soccorso degli stranieri sbarcati sulle coste italiane. La legge, riferendosi anche alle esigenze di contrasto dell'"immigrazione clandestina", sembrava implicare la creazione di strutture chiuse, dalle quali lo straniero accolto non sarebbe potuto uscire a piacimento. |
1998 |
Legge n. 40/1998 |
La Legge "Turco-Napolitano" normalizzò la detenzione amministrativa degli stranieri nell'ordinamento italiano riprendendo in parte le disposizioni varate nel 1995. Essa disponeva che, laddove non fosse possibile eseguire immediatamente il provvedimento di respingimento alla frontiera o l'espulsione mediante accompagnamento coatto a causa della necessità di soccorrere o identificare lo straniero giunto sul suolo italiano o rintracciato in stato di irregolarità, il Questore è autorizzato a disporre il "trattenimento" dello straniero per il tempo strettamente necessario, e comunque non oltre i 30 giorni, presso uno di quelli che la legge definiva "Centri di permanenza temporanea" (CPT). La Legge sanciva esplicitamente l'assoluto divieto di allontanarsi dai CPT, anche se precisava che agli ospiti dovesse essere garantita libertà di contatti, anche telefonici, con l'esterno. |
1999 |
Decreto del Presidente della Repubblica n. 294/1999 |
Il regolamento attuativo della Legge "Turco-Napolitano" precisò ulteriormente le condizioni del "trattenimento", sancendo l'obbligo di garantire il rispetto dei diritti fondamentali dello straniero e in particolare la sua libertà di colloquio con il difensore e i ministri di culto; nonché la sua libertà di corrispondenza anche telefonica. Il medesimo regolamento attuativo attribuì all'autorità di pubblica sicurezza il compito di disciplinare le modalità di trattenimento, garantendo la sicurezza e l'ordine all'interno della struttura e l'erogazione dei servizi essenziali agli ospiti. |
2000 |
Direttiva del Ministero dell'Interno del 30 agosto 2000 |
La cosiddetta Direttiva "Bianco" fissò per la prima volta le linee guida per la gestione dei centri vincolanti su tutto il territorio nazionale e concesse alle Prefetture la facoltà di appaltarne ad enti esterni la gestione.
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2002 |
Circolare del Ministero dell'Interno n. 3154/2002 |
La Circolare del 2002 aveva invece un carattere schiettamente gestionale ed era pensata per omologare su tutto il territorio nazionale i costi di gestione dei centri per stranieri. Essa introduceva un modello di "convenzione tipo" che elenca le prestazioni standard che devono essere erogate da parte degli Enti gestori. |
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Legge n. 189/2002 |
La legge "Bossi-Fini", pur confermando l'impianto dato alla disciplina della detenzione amministrativa nel 1998, apportò due modifiche sostanziali. In primo luogo essa trasformò l'espulsione con accompagnamento coatto (e conseguente possibilità di trattenere in stato di detenzione lo straniero) in ipotesi principale. In secondo luogo, essa estese il periodo massimo di detenzione di ulteriori 30 giorni. La vera novità della riforma del 2002 fu però l'introduzione del "trattenimento" del richiedente asilo in centri che la legge definiva Centri di Identificazione (CDI). Il trattenimento era considerato obbligatorio laddove lo straniero avesse inoltrato una domanda d'asilo dopo essere stato intercettato nel tentativo di eludere i controlli di frontiera o in situazione irregolare sul territorio dello stato; facoltativo in tutti gli altri casi in cui fosse comunque necessario verificare o determinare la nazionalità o identità del richiedente asilo, o gli elementi su cui si basa la domanda di asilo. Le caratteristiche dei CDI per richiedenti asilo non erano specificate dalla legge, la quale si limitava a stabilire che l'indebito allontanamento da tali strutture avrebbe comportato la rinunzia alla domanda d'asilo. |
2004 |
Decreto del Presidente della Repubblica n. 303/2004 |
Il regolamento attuativo della Legge "Bossi-Fini" specificò le caratteristiche che i neo-istituiti CDI avrebbero dovuto possedere. In particolare, tali strutture, istituite per decreto del Ministero dell'Interno, dovrebbero essere gestite in regime di "porte aperte". Secondo il Regolamento, è in particolare il Prefetto competente territorialmente a disciplinare il regime di vita interno e gli accessi alla struttura, fissando in un regolamento le modalità di uscita diurna, nonché gli orari e le modalità di accesso per le visite agli ospiti da parte di familiari o cittadini italiani, enti di tutela e l'UNHCR. Sempre l'autorità di polizia autorizza le uscite per periodi più lunghi. |
2005 |
Decreto legislativo n. 140/2005 |
Il Decreto di attuazione della direttiva 2003/9/CE che stabiliva norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri. L'art. 4 del Decreto sanciva che il richiedente asilo trattenuto in uno dei CDI o dei CPTA dovesse ricevere un attestato nominativo che certifica la sua identità e la sua qualifica di richiedente asilo. L'art. 5 relativo alle "misure di accoglienza", stabiliva invece che il richiedente asilo ha accoglienza nelle strutture in cui è ospitato, per il tempo stabilito e secondo le disposizioni del regolamento attuativo del 2004. |
2006 |
Decreto interministeriale del 16 febbraio 2006 |
Con tale Decreto alcuni dei CDA esistenti vengono trasformati in "Centri di Primo Soccorso e Accoglienza", strutture dedicate all'accoglienza temporanea, in linea teorica non più di 48 ore, dei migranti sbarcati sul suolo italiano in attesa del loro trasferimento verso un'altra struttura di accoglienza o detenzione. |
2008 |
Decreto legislativo n. 25/2008 |
Nel 2008 viene recepita in Italia la Direttiva 2005/85/CE. Il Decreto legislativo trasforma i CDI creati dalla legge "Bossi-Fini" negli attuali "Centri di accoglienza per richiedenti asilo" (CARA) cercando di accentuare l'aspetto umanitario di tali strutture di accoglienza. In particolare viene previsto che l'allontanamento indebito dalla struttura non comporti più la perdita del diritto alla domanda d'asilo, ma solo la perdita del "diritto all'accoglienza". La mancata approvazione dei decreti attuativi ha lasciato in vigore le regole varate nel 2004 per l'organizzazione e la gestione dei centri per richiedenti asilo. |
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Decreto Legge n. 92/2008 convertito nella legge n. 125/2008 |
Tale Decreto cambia la denominazione dei CPT in "Centri di Identificazione ed Espulsione" (CIE). |
2009 |
Decreto Legge n. 11/2009 convertito nella Legge n. 94/2009 |
Il cosiddetto "pacchetto sicurezza" del 2009 recepisce immediatamente la norma più controversa della Direttiva 2008/115/EC, cosiddetta "Direttiva ritorno", innalzando il periodo massimo di detenzione a 18 mesi. |
2011 |
Decreto Legge n. 89/2011 convertito nella Legge n. 129/2011 |
Nel 2011 viene finalmente completato il recepimento della Direttiva 2008/115/EC, all'esito del quale la disciplina della detenzione amministrativa degli stranieri è stata sostanzialmente ridisegnata. Lo straniero colpito da un provvedimento di espulsione può adesso richiedere un termine per il rimpatrio volontario, che il Questore ha facoltà di concedere laddove ritenga che lo straniero presenti adeguate garanzie di affidabilità sociale sottoponendolo eventualmente a misure di controllo non detentive (consegna dei documenti; obbligo di firma; obbligo di dimora). Nei casi in cui l'espulsione sia da eseguirsi con accompagnamento coatto, invece, il provvedimento di trattenimento in un CIE non è più automatico ma deve essere adottato solo quando non sia possibile ricorrere a misure di controllo meno afflittive (consegna dei documenti; obbligo di firma; obbligo di dimora). Per poter accedere ad una delle alternative non detentive lo straniero dove comunque dimostrare di possedere, oltre ai documenti e ad un reddito adeguato, un alloggio dove essere rintracciato. |