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Norme, documenti e risorse utili in materia di detenzione ed accoglienza di migranti e richiedenti asilo

DETENZIONE > Normativa > Europea

Gli stati Europei sono obbligati al rispetto di norme transnazionali in materia di diritti umani anche di portata regionale. Il Consiglio d'Europa è la principale istituzione di difesa dei diritti umani del continente, esso include 47 Stati membri, di cui 28 fanno anche parte dell'Unione europea. Tutti i paesi membri del Consiglio sono anche firmatari e vincolati al rispetto della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fonamentali, il principale strumento regionale di tutela dei diritti umani. L'applicazione delle norme in essa contenute è monitorata dalla Corte europea dei diritti umani, abilitata a ricevere ricorsi individuali inoltrati da persone che ritengano di aver subito la violazione di uno dei diritti sanciti dalla Convenzione. Sempre sotto gli auspici del Consiglio d'Europa è stata adottata la Convenzione europea per la prevenzione della tortura, la cui applicazione è monitorata dal Comitato europeo per la prevenzione della Tortura (CPT) abilitato ad effettuare missioni di inchiesta e pubblicare rapporti sulle condizioni di detenzione nei paesi membri. Anche gli altri organi del Consiglio d'Europa, come l'Assemblea parlamentare o il Consiglio dei ministri, svolgono una crescente attività di standard setting in materia di diritti umani, esprimendo pareri e formulando linee guida per orientare l'azione dei pesi membri in materia.

Accanto a tali strumenti regionali di tutela dei diritti umani, deve essere senz'altro menzionato anche il diritto dell'Unione europea. Seppure non appartenente al regime giuridico internazionale dei diritti umani, esso rappresenta il più sviluppato modello di disciplina transnazionale dei movimenti di persone attraverso le frontiere che, tramite l'emanazione di una serie di cruciali direttive, ha portato alla progressiva armonizzazione del diritto dell'immigrazione e del diritto d'asilo nei diversi paesi membri dell'Unione europea.

 


 

Convenzione europea dei diritti dell'uomo

La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fonamentali è entrata in vigore nel 1953 ed è attualmente il più importante strumento di tutela dei diritti umani a livello continentale. Per assicurare il rispetto degli impegni assunti dagli Stati, è stata istituita la Corte europea dei Diritti dell'Uomo, che è abilitata a deliberare su ricorsi individuali o su ricorsi interstatuali. Su richiesta del Comitato dei Ministri, la Corte può inoltre formulare pareri consultivi concernenti l'interpretazione della Convenzione e dei suoi Protocolli. Negli ultimi anni le pronunzie della Corte in materia di detenzione degli immigrati e dei richiedenti asilo si sono moltiplicate, dando luogo ad una corposa giurisprudenza in materia.

1950

Convenzione europea dei diritti dell'uomo
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A differenza che l'art. 9 dell'ICCPR, la Convenzione europea elenca in dettaglio i casi in cui l'uso dei poteri detentivi, anche per via amministrativa, può considerarsi legittimo. All'art. 5 essa ammette come legittima la detenzione di uno straniero volta a prevenire il suo ingresso non autorizzato sul territorio, nonché dello straniero nei cui confronti siano state intraprese le procedure di espulsione.

In ragione di un simile esplicito riferimento alla detenzione amministrativa degli stranieri, la giurisprudenza della Corte europea è stata in genere molto permissiva nel legittimare l'uso dei poteri detentivi nel quadro delle politiche migratorie.

1976

Lynas v. Switzerland
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In tale pronunzia, l'allora European Commission for Human Rights giudicò illegittimo un periodo di detenzione prolungato subito da un cittadino straniero in via di estradizione, elaborando l'idea del "diligence test" in base al quale valutare la legittimità del provvedimento detentivo. Gli Stati firmatari erano chiamati a dimostrare che le procedure amministrative necessarie ad eseguire il provvedimento di allontanamento fossero state condotte con la dovuta diligenza e senza causare inutili ritardi.

1993

Kolompar v. Belgium
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In tale pronunzia la Corte europea dei diritti umani confermò la sostanza del "diligence test" elaborato negli anni precedenti aggiungendovi una considerazione per il grado di collaborazione del detenuto che sembrava far scivolare il provvedimento detentivo verso una forma di velata punizione per l'atteggiamento riluttante dello straniero colpito da un provvedimento di allontanamento. La Corte non riteneva, infatti, di poter fissare in astratto un termine massimo di detenzione poiché la durata del provvedimento poteva variare in ragione della complessità del caso e della collaborazione del detenuto.

1996

Amuur v. France
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In tale pronunzia la Corte europea dei diritti umani affrontò la questione della legittimità della detenzione degli stranieri in ingresso nei porti e negli aeroporti. In particolare essa giudicò illegittima la detenzione in ingresso praticata in Francia poiché sprovvista di un chiaro regime giuridico nel diritto interno. Nel giudicare illegittima la politica francese di trattenimento nelle zones d'attente, la Corte riconosceva tuttavia il diritto innegabile degli Stati a controllare l'ingresso degli stranieri sul loro territorio e di farlo anche ricorrendo alla detenzione, che veniva addirittura definita come un "inevitabile" corollario della necessità di svolgere le pratiche amministrative relative all'ingresso ed all'espulsione.

 

Chahal v. United Kingdom
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In tale pronunzia la Corte europea dei diritti umani affrontò la questione del giudizio di necessarietà e proporzionalità, che contemporaneamente si andava affermando a livello internazionale quale requisito fondamentale per giudicare della legittimità del provvedimento detentivo. Nel giudicare della legittimità di un provvedimento detentivo adottato dal governo inglese la Corte ha sostenuto che, nella misura in cui il procedimento di espulsione è in corso, la detenzione amministrativa può essere considerata legittima senza necessità di provare l'esistenza di altre condizioni giustificative.

2000

Saadi v. United Kingdom
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In questa pronunzia, che riguardava la detenzione dei richiedenti asilo in ingesso sul territorio inglese, la Corte sostenne non fosse necessario per lo Stato dimostrare la "necessità" di ricorrere al provvedimento detentivo, legittimando la detenzione dei richiedenti asilo anche per semplice convenienza amministrativa, indipendentemente dal comportamento dello straniero coinvolto. Purché la detenzione sia adottata in "buona fede", il provvedimento eseguito in locali appropriati e per un periodo di tempo ragionevole, non è necessario fornire giustificazioni particolari per l'esercizio dei poteri detentivi nei confronti degli stranieri in ingresso.

2009

A and Others v. United Kingdom
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In questa pronunzia, che riguardava la detenzione di cittadini stranieri in via di espulsione perché sospetti di terrorismo, la Corte riaffermò il principi già sanciti nelle sue precedenti sentenze del 1996 e 2000, sottolineando la necessità che le procedure di allontanamento siano svolte con la dovuta diligenza da parte dello Stato e che la durata della detenzione non ecceda il tempo ragionevolmente necessario ad eseguire l'allontanamento.

2010

Raza v. Bulgaria
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In questa pronunzia, che riguardava la detenzione di un cittadino straniero in via di espulsione, un periodo di detenzione di oltre due anni fu considerato sproporzionato perché le autorità nazionali non erano parse attivarsi con la dovuta diligenza per eseguire in concreto il provvedimento di allontanamento. La Corte ha così cominciato ad alzare l'asticella che qualifica il comportamento degli Stati come diligente, richiedendo che questi si attivino "vigorosamente" per ottenere i documenti di viaggio necessari ad eseguire l'allontanamento. In caso di ritardo nelle procedure di espulsione, gli stati dovrebbero considerare l'eventualità di adottare provvedimenti alternativi alla detenzione.

 

Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT)

Comitato per la Prevenzione della Tortura (CPT) è stato creato nel 1987 con il compito di monitorare l'applicazione della Convenzione europea per la prevenzione della tortura. Oltre alla sua importante attività di monitoraggio delle condizioni di detenzione nei paesi membri, il CPT ha negli anni sviluppato una serie di importanti standard relativi ai diritti delle persone detenute. Più di recente tale attività di sviluppo di standard giuridici e linee guida è stata estesa anche al caso della detenzione amministrativa di immigrati e richiedenti asilo.

2010

CPT Standards
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Nel 2010 il CPT ha raccolto tutte le considerazioni relative ai principi che dovrebbero guidare l'uso delle misure privative o restrittive della libertà personale pubblicate nei sui rapporti annuali in un unico documento, denominato appunto CPT Standards. Il capitolo IV è intermante dedicato alla detenzione degli immigrati e contiene le linee guida che dovrebbero orientare gli stati nel ricorso a tale strumento di controllo, nonché ispirare la progettazione e gestione dei centri detentivi per immigrati.

 

Consiglio d'Europa

Il Consiglio d'Europa è la principale istituzione di difesa dei diritti umani del continente. Oltre che attraverso i suoi organi di monitoraggio specifici, esso si occupa della tutela dei diritti umani per mezzo del lavoro dell'Assemblea parlamentare e del Comitato dei ministri, i quali hanno il potere di inoltrare raccomandazioni non vincolanti ai paesi membri. Negli ultimi anni, tanto l'Assemblea che il Comitato si sono occupate numerose volte della questione dei diritti degli immigrati e dei richiedenti asilo assoggettati a misure restrittive nel quadro dei controlli migratori, formulando una serie di standard che rappresentano un autorevole punto di vista sulla materia a livello europeo.

2002

COE - Parliamentary Assembly: Recommendation n. 1547
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In una serie di raccomandazioni relative all'esecuzione delle procedure di espulsione, l'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa ha invitato gli stati membri a riformare le loro legislazioni nazionali nel senso di: (a) limitare la durata dei periodi di detenzione precedenti all'espulsione; (b) usare la detenzione come misura di ultima ratio, favorendo il ricorso alle alternative; (c) ripensare le strutture detentive riducendo il loro aspetto carcerario; (d) garantire condizioni di detenzione più umane, concedendo in particolare l'accesso all'aria aperta e prevedendo attività per l'impiego del tempo; (e) garantire i contatti con l'esterno ed in particolare il libero accesso alle strutture detentive da parte di legali rappresentanti ed associazioni. L'Assemblea espresse anche l'auspicio che il Consiglio elaborasse una sorta di codice di "buone pratiche" in materia di espulsione degli stranieri.

2005

Council of Europe, Committee of Ministers, Twenty Guidelines on Forced Return
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Seguendo l'invito dell'Assemblea, il Comitato dei ministri ha adottato 20 linee guida non vincolanti che costituiscono una sintesi degli standard giuridici esistenti in materia.  Tali linee guida, adottate infine il 4 maggio 2005, contengono numerose disposizioni relative alla detenzione degli immigrati in via di espulsione e sanciscono in particolare i principi di necessarietà, proporzionalità, l'obbligo di revisione giurisdizionale, l'obbligo di rilascio in caso di impossibilità di eseguire l'espulsione, più una serie di standard relativi alle condizioni di detenzione ed alla detenzione di donne e minori.

2010

COE - Parliamentary Assembly: Resolution n. 1707
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In tale risoluzione dell'Assemblea parlamentare, interamente dedicata alla questione della detenzione degli immigrati e dei richiedenti asilo, sono contenuti 10 "guiding principles" cui gli stati membri sono invitati a conformarsi. I principi ribadiscono in particolare l'idea che la detenzione dovrebbe essere adottata solo quando appaia necessaria, proporzionata allo scopo da conseguire e per il minor tempo possibile. Gli stati devono inoltre considerare ogni alternativa possibile, utilizzando la detenzione solo come ultima ratio. La risoluzione invita altresì gli stati ad implementare le 15"European rules governing minimum standards of conditions of detention for migrants and asylum seekers" contenute nella medesima risoluzione. Tali "European rules" costituiscono un vero e proprio codice della detenzione amministrativa di immigrati e richiedenti asilo e sono relative sopratutto alle condizioni materiali ed alla gestione dei centri di detenzione.

 

Unione Europea

Negli ultimi anni il diritto dell'Unione europea ha svolto un importante funzione di armonizzazione del diritto dell'immigrazione e del diritto d'asilo dei paesi membri, che devono adesso adeguarsi alle direttive ed ai regolamenti adottati nel quadro della politica comune in materia di migrazione ed asilo. Negli ultimi dieci anni, in particolare, una serie di strumenti normativi ha sviluppato un articolato sistema di garanzie giuridiche che dovrebbe circondare l'adozione, da parte dei paesi membri, di provvedimenti restrittivi nel quadro della politica migratoria e d'asilo.

 

2003

Direttiva 2003/9/EC
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La cosiddetta Reception Conditions Directive consente agli stati di adottare misure restrittive nei confronti dei richiedenti asilo. In particolare l'art. 7, dopo aver attribuito ai richiedenti asilo il diritto di muoversi liberamente sul territorio dello Stato, o "all'interno di una zona loro assegnata", specifica che i paesi membri possono in alcuni casi limitare tale diritto. Tali limitazioni possono assumere la forma di un "obbligo di residenza", che può essere giustificato "for reasons of public interest, public order or, when necessary, for the swift processing and effective monitoring of his or her application" (art. 7, comma 2); ovvero la forma di un "confinamento" in un luogo specifico, cui è possibile fare ricorso "quando ciò è necessario per ragioni legali o di ordine pubblico" (art. 7, comma 3).

2005

Direttiva 2005/85/EC
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La cosiddetta Asylum Procedure Directive prevede poche scarne disposizioni in materia di detenzione o altre forme di restrizione della libertà personale dei richiedenti asilo. Con una norma che rappresenta una pallida eco dei principi di diritto internazionale cui i paesi membri sono già vincolati, essa stabilisce che gli stati non sono legittimati a trattenere in stato di detenzione lo straniero per il solo fatto che esso abbia inoltrato una richiesta d'asilo. La direttiva aggiunge, inoltre, l'obbligo di prevedere, in caso di detenzione, una qualche forma di tutela giurisdizionale per il richiedente asilo (art. 18, commi 1 e 2).

2006

Regolamento (EC) n. 562/2006
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Il codice della frontiera europea non contiene alcuno specifico riferimento al potere di detenzione degli stranieri cui le autorità di frontiera rifiutano l'ingresso sul territorio di un paese membro. Esso impone alla polizia di frontiera di garantire che la persona cui viene rifiutato l'ingresso non acceda comunque al territorio dello Stato, senza specificare però quali misure l'autorità responsabile sia legittimata ad adottare. Le uniche indicazioni che è possibile ricavare dalle disposizioni del Codice sono relative all'obbligo del rispetto del principio di proporzionalità delle misure costrittive adottate in relazione all'obiettivo da perseguire (art. 6, comma 1), al divieto di discriminazione e all'obbligo di rispettare la dignità umana (art. 6, commi 1 e 2).

2008

Direttiva 2008/115/EC
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La cosiddetta return directive contiene un insieme di norme cruciali relative alla detenzione degli stranieri sottoposti a provvedimenti di espulsione. Recependo in parte le indicazioni provenienti dalla giurisprudenza e dagli standard internazionali esistenti, l'art. 15, comma 1 della Direttiva stabilisce adesso che i paesi membri possono fare ricorso al provvedimento detentivo solo al fine di preparare ed eseguire l'espulsione, e nella misura in cui la procedura sia ancora in corso ed eseguita con la dovuta diligenza. Il termine massimo di detenzione è portato a 18 mesi. La norma sancisce anche il principio della preferenza per i mezzi non detentivi di controllo, stabilendo che il ricorso alla detenzione debba essere giustificato dalle circostanze del caso, tra le quali l'art. 15 indica, in particolare, il rischio di fuga o i tentativi da parte dello straniero di ostacolare o impedire la sua espulsione. Sul piano delle garanzie procedurali, la Direttiva 2008/115/EC sembra invece rafforzare la garanzia dell'habeas corpus, stabilendo che il provvedimento detentivo debba essere approvato da una Corte "il prima possibile" (art. 15, comma 2). Essa richiede inoltre una revisione periodica del provvedimento, anche ex-officio, volta a verificare la persistenza nel tempo delle condizioni che ne legittimarono l'adozione (art. 15, comma 3) e stabilisce che, qualora queste cessino, o non vi sia più la ragionevole prospettiva di poter eseguire l'espulsione, lo straniero debba essere immediatamente rilasciato (art. 15, comma 4).

2013

Direttiva 2013/32/UE
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La nuova direttiva recante norme relative alle procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale modifica sostanzialmente le disposizioni contenute nella Direttiva 2005/85/EC. In materia di restrizione della libertà personale dei richiedenti asilo essa rimanda in via generale alle disposizioni della nuova Direttiva 2013/33/UE, limitandosi a prevedere l'obbligo in capo ai paesi membri di prestare gli opportuni servizi di informazione ed assistenza legale per i richiedenti asilo trattenuti in un centro di accoglienza o nelle zone internazionali di porti ed aeroporti, garantendo effettivo accesso a tali luoghi anche ad organizzazioni non governative di assistenza e tutela dei diritti.

 

Direttiva 2013/33/UE
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Tutte le disposizioni in materia di restrizione della libertà personale dei richiedenti asilo sono adesso contenute nella nuova direttiva recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, che modifica sostanzialmente le disposizioni contenute nella direttiva 2003/9/EC. Essa afferma in via generale il principio che i richiedenti possono essere trattenuti soltanto in circostanze ecce­zionali elencate dalla direttiva, in base ai principi di necessità e proporzionalità. Il trattenimento è definito come "il confinamento del richiedente, da parte di uno Stato membro, in un luogo determinato, che lo priva della libertà di circolazione". La direttiva afferma inoltre il principio che gli Stati devono adottare tutte le alternative meno afflittive possibili, prima di poter ricorrere legittimamente al trattenimento. Il richiedente asilo do­vrebbe inoltre godere delle necessarie garanzie di revisione giurisdizionale del provvedimento restrittivo. Il periodo di trattenimento non dovrebbe superare il tempo necessario al disbrigo delle procedure pertinenti. La direttiva elenca inoltre una serie di dettagliate garanzie che dovrebbero qualificare le condizioni di detenzione più appropriate, anche in relazione alle particolari esigenze di tutela del richiedente asilo.

 

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